Citazione da "L'arte della felicità"
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- 19 mar
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di S.S. Dalai Lama
Definire la compassione
Più i nostri colloqui procedevano, più mi resi conto che nella vita del Dalai Lama coltivare la compassione era ben più di un semplice mezzo per maturare sentimenti di empatia e affetto atti a migliorare i rapporti con gli altri. Divenne anzi chiaro che egli, come buddhista praticante, considerava lo sviluppo della compassione parte integrante del suo cammino spirituale.
«Visto che il buddhismo ritiene la compassione parte essenziale dell’evoluzione spirituale,» dissi «può definire meglio questo sentimento?»
«La compassione» rispose «può essere definita in linea di massima come uno stato mentale non violento, non aggressivo e non inteso a nuocere. È un atteggiamento dell’animo basato sul desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza, e si associa all’impegno, alla responsabilità e al rispetto nei confronti del prossimo.
A proposito della definizione, il termine tibetano tse-wa, che designa appunto la compassione, indica uno stato mentale in cui è incluso anche il desiderio di ottenere cose buone per se stessi. Quando cerchiamo di maturare la compassione, forse possiamo cominciare dal desiderio di liberarci personalmente dalla sofferenza e in un secondo tempo, coltivando questo sentimento naturale verso noi stessi, rafforzarlo fino a includervi tutti gli altri.»
«Spesso la gente, quando parla di compassione, tende purtroppo a confonderla con l’attaccamento. È perciò indispensabile distinguere, innanzitutto, tra due diversi tipi di amore e compassione. Il primo è permeato di attaccamento, del desiderio di controllo sugli altri: si ama una persona perché questa ci ama a sua volta. Tale diffuso tipo di amore o compassione è assai parziale e viziato, e un rapporto che si basi su di esso è instabile. Un simile legame parziale, che si fonda sulla percezione e l’identificazione dell’altro come “amico”, può condurre a un certo attaccamento emotivo e a una certa intimità. Ma se la situazione cambia anche solo di poco, magari per un disaccordo, o se l’amico fa qualcosa che ci irrita, d’un tratto la nostra proiezione mentale cambia: l’idea di “mio amico” svanisce. Si scopre allora che l’attaccamento emotivo viene meno e, al posto dell’amore e della sollecitudine, può subentrare un sentimento di odio. Questo amore basato sull’attaccamento, dunque, è spesso fortemente connesso all’odio.
Il secondo tipo di compassione, invece, è autentico e scevro di ogni attaccamento. Chi prova vera compassione non parte tanto dalla premessa emotiva che una certa persona gli sia cara, quanto dalla premessa razionale che tutti gli esseri umani abbiano, al pari di lui, il desiderio innato di essere felici e di sconfiggere la sofferenza. Esattamente come noi, gli altri hanno il naturale diritto di soddisfare tale innata aspirazione. Se riconosciamo questa eguaglianza e questa caratteristica comune, ci sentiremo solidali e intimi col prossimo. Quando il fondamento è questo, potremo provare compassione indipendentemente dal fatto che consideriamo l’altro un amico o un nemico.
Riconoscere i fondamentali diritti degli altri e non limitarsi a una mera proiezione mentale è su tale base che si generano l’amore e la compassione. È questa la vera compassione.»
